Virginia Woolf e Lytton Strachey si sono scritti per venticinque anni. Nelle loro lettere hanno discusso di libri, scrittura e amici che si erano comportati bene o male, hanno parlato di oceano e natura (Woolf l’amava, Strachey la sdegnava) e preso appuntamenti per il tè, mancandone parecchi. Sono lettere di cene, conversazioni nottambule e confidenze, letture intirizzite vicino al fuoco e viaggi, di ritiri tra brume gallesi o solitudini scozzesi, di ritorni al bel mondo cittadino (amato/odiato), e poi successi editoriali (immediato quello di Strachey, piú lento quello di Woolf) e affilate opinioni letterarie – cosí Dostoevskij è il piú grande scrittore mai vissuto, Henry James scrive romanzi notevoli nonostante manchi completamente di ironia, mentre l’Ulisse di Joyce è insostenibile. Pagine e pagine di mondanità, pettegolezzi, malattie o ipocondrie, una corrispondenza in cui libri e vita, piú che vicini, sono intrecciati, con malinconie ed entusiasmi che si incalzano tra le righe in mezzo a parole di infinita tenerezza – anche se “le cose che contano non si possono dire”. Chiara Valerio, che traduce le lettere di Virginia Woolf, e Alessandro Giammei, che traduce quelle di Strachey, curano la prima edizione italiana completa dello scambio tra i due scrittori, basata sugli originali archiviati in vari fondi internazionali, in particolare alla Mortimer Rare Book Collection dello Smith College in Massachusetts. Il carteggio include una sezione dedicata alla riproduzione di alcuni manoscritti.
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