Per Paolo Di Stefano il legame che unisce un uomo alla propria casa è qualcosa di profondo e fondante. Le case vengono arredate, vissute, curate e a volte abbandonate, assorbono gli odori, gli umori, i sentimenti, le vite di chi le abita e contemporaneamente le influenzano, diventando parte fondamentale della memoria più intima di un uomo. Il volume racconta questo rapporto a partire dalla descrizione della casa in cui è nato. Dalla Sicilia dove l’odore di peperoni arrostiti si mischia a quello delle muffe, alla Svizzera, dove resta impregnato nelle tende e nei tappeti che la madre mostra con fierezza ai parenti in visita. Le abitudini familiari sono descritte nei particolari, in gesti semplici e significanti messi in atto da personaggi reali, strettamente legati all’autore, con ironia ma anche un velo malinconico. Velo che si ispessisce nelle interviste che occupano la seconda parte del libro, dove protagonisti insieme agli ambienti sono persone costrette all’abbandono delle loro case. Di Stefano dà voce a emigranti, senzatetto, con la confidenza di un diario e la sottigliezza di un poeta. La casa che proteggeva dal caldo e dal freddo come una madre, gli utensili di cui ci si è presi cura, in uno scambio di utilità e attenzione quasi pari, come se anche arredi e suppellettili potessero penare della separazione, avere nostalgia. L’intreccio d’arte narrativa e visiva custodito nel libro esplora e rende reali le emozioni trattenute dalle mura domestiche.
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