«Ogni passione, così come un’opera ce la presenta, è rivestita dalla musica con lo scintillio purpureo del Romanticismo, e ciò che sperimentiamo nella vita ci conduce fuori dalla vita nel regno dell’infinito. Così forte è la magia della musica, e sempre più potente il suo effetto, che dovrebbe affrancarsi da ogni altra arte. La musica strumentale di Beethoven ci schiude il regno del titanico e dell’incommensurabile. Raggi infuocati sfrecciano attraverso la profonda notte di questo regno: vi scorgiamo gigantesche ombre che s’allungano e si restringono, rinchiudendoci sempre più strettamente, annientano ogni cosa in noi, senza estinguere il dolore dello struggimento infinito, in cui ogni piacere, asceso rapidamente in suoni esultanti, s’inabissa e soccombe». E. T. A. Hoffmann
La Quinta sinfonia di Beethoven è una delle opere più importanti e celebri della storia della musica: appena è evocata, il suo incisivo motto iniziale risuona subito nella nostra mente. Eppure, come racconta questo libro, la composizione si è fatta spazio nelle orecchie e nei cuori degli ascoltatori in modo assai strano. La storia della Quinta ebbe inizio a Vienna il 22 dicembre 1808, quando fu eseguita per la prima volta, tra innumerevoli altri brani, in un concerto tanto famoso quanto sfortunato. La difficoltà delle composizioni, un numero insufficiente di prove, la lunghezza del programma e il freddo del teatro decretarono un mezzo fiasco. Nonostante la fama del compositore, un cronista scrisse: «Nessuno è profeta in patria». Beethoven si arrabbiò: «Malgrado qualche errore, il pubblico ha accolto tutto con entusiasmo. Ciò nonostante, gli imbrattacarte di Vienna non mancheranno certo di scrivere i loro velenosi articoli contro di me». Invece si sbagliava. Sette mesi dopo, infatti, il direttore della più importante rivista di musica tedesca spediva a Bamberga la riduzione della sinfonia per pianoforte a quattro mani, chiedendo di recensirla a un suo collaboratore, all’epoca sconosciuto, E. T. A. Hoffmann, che sarebbe presto diventato il più importante scrittore del Romanticismo tedesco. Fu proprio lui a rendersi conto per primo che la Quinta, senza ombra di dubbio, era un capolavoro, e a dichiararlo a gran voce in un ampio scritto, determinando così le sorti di quest’opera straordinaria. Finora inedita nella sua forma integrale, questa recensione, tra le più ispirate di tutti i tempi, appare finalmente in italiano – tradotta e commentata dalla storica della musica Benedetta Saglietti – insieme ad altre testimonianze circa la prima esecuzione e agli scritti di Johann Friedrich Reichardt e di Hector Berlioz. A inaugurare questo viaggio è Riccardo Muti, il quale conversando con l’autrice racconta, dalla parte dell’interprete, la sinfonia-capolavoro che, sin dal la prima esecuzione, continua ad affascinare chi la ascolta: un’opera capace ancora oggi di sorprendere e allo stesso tempo di scuotere le profondità dell’animo umano.
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