Un romanzo breve, lirico, delicato e commovente, intenso e lieve al tempo stesso. La testimonianza autobiografica di un destino drammatico e doloroso travolto dalle leggi razziali.
«Il baule fu un dono di zia Jole, sorella del padre di Anna, quando, assai precocemente, ci sposammo. Era (è ancora, nonostante sia passato mezzo secolo) un meraviglioso baule, sebbene per un certo aspetto piuttosto un armadio che poteva con facilità mettersi in viaggio, anche se, alla fine ed imprevedibilmente, per ragioni che dirò, il suo destino si rivelò sedentario. Alto pressappoco come me, adorno di numerose borchie d’ottone, armato di ghiere di ferro e costolature di legno, aveva l’aspetto di un peso massimo e, insieme, di quei massicci forzieri di orefici o cambiavalute che, ancora recentemente, ho ammirato a Firenze, in botteghe sul Ponte Vecchio. Verniciato d’un fiammante verde-vagone, possedeva robuste serrature d’ottone con staffe simili a spallacci d’armature medievali».
Un vecchio baule «allarga attorno a sé un alone di ricordi». Era stato il grosso regalo di nozze degli zii Jole e Giorgetto. Lei massiccia lamentosa ed estroversa, lui minuto timido e arguto: una coppia teneramente comica, con tutte le caratteristiche di chi non aspira a nessuna grandezza. Ma «l’avventura incredibile di Giorgetto», quello che fece per la sua Jole poco prima di finire entrambi ad Auschwitz, fu il bel gesto di un eroe commovente e segreto: «in quei minuti visse una vita che niente aveva a che fare con la precedente». I libri di Alberto Vigevani (1918-99) hanno atmosfere di memorie, ma in essi non c’è niente di egocentrico: al contrario sanno esprimere momenti dell’esistenza, proprio come «un poeta che ha scritto romanzi» (Lalla Romano).
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