oltre le gentili menzogne: un intervento di Bruno Nacci sui romanzi di Laura Bosio

 
oltre le gentili menzogne: un intervento di Bruno Nacci sui romanzi di Laura Bosio

Oltre le gentili menzogne . Racconto e riflessione in Laura Bosio, di Bruno Nacci

Laura Bosio esordisce nel 1993 con I dimenticati, romanzo intenso e severo con il quale si impone in modo autorevole dopo una lunga stagione, non solo letteraria, percorsa da tentazioni liberatorie, esperimenti e inquieti presagi. Estranea all’eterno domino delle teorie letterarie e delle voghe critiche, meno estranea forse a quell’ansia generazionale che si è espressa e si esprime dal cuore stesso di uno sconcerto che ha rinunciato a ogni prospettiva storica, la scrittrice vercellese ha scelto come sfondo della vicenda narrata quello più pittoresco e frequente nella letteratura italiana: la provincia. Ma se in Piero Chiara e Lucio Mastronardi, tra i tanti e i migliori, la vita provinciale era un mondo chiuso da esplorare con la perizia, ma anche con la simpatia o l’indifferenza dell’entomologo, per ricavarne tipi e leggende, per la Bosio esso è semplicemente un dato, un referto, fino a un certo punto occasionale, tralasciando le mere ragioni autobiografiche, dal momento che ritornerà nei suoi romanzi, sia pure con modalità diverse.
Livia, ancora studentessa di  liceo, dopo la morte del padre diviene l’amante del suo miglior amico, il signor Rosset, proprietario di un negozio di tessuti, mentre la madre, assistita da un’algida e dispotica sorella, sprofonda in una catatonia che la sottrae a sé e agli altri. In seguito Livia si allontana dalla cittadina di provincia per completare i suoi studi artistici nella grande città, dove tra i tanti amanti occasionali conosce Giulio, un giovane medico che si suiciderà e Antonio, un raffinato quanto vacuo intellettuale che alla fine abbandona. Tornata dopo tre anni nella casa paterna e cacciata di casa la zia, si riaccosta alla madre che, in una ritrovata serenità, accudisce quasi fosse un bambino. Detta così, la vicenda appare singolarmente spoglia, non solo, ma genera l’impressione di un ritorno a tempi e movenze che appartengono a un passato lontano, neorealistico se non crepuscolare. E qui la scelta dell’ambientazione provinciale, ma di una provincia, come d’altra parte anche la grande città, priva di riconoscibilità immediata, gioca un ruolo non secondario, perché il breve tragitto dalla periferia al centro, la grande città, e dal centro nuovamente alla periferia, serve per tracciare una ingannevole rotta, alludendo a una specie di direzione convenzionale o di genere del racconto, mentre in realtà lungo quel tragitto non si muove assolutamente niente. E allora perché? Per rispondere alla domanda è necessario partire dalla prima scena del romanzo: attorno al letto del padre morente sono già raccolti i protagonisti della storia. Livia, la figlia, con la sua avidità, l’unica, di vedere tutto, di non arretrare davanti a niente, quasi ipnotizzata dalla nudità del corpo paterno; la zia, tutta risolta nei gesti precisi e  affrettati che si devono compiere in simili circostanze; il signor Rosset, paziente e discreto; la madre, che fin dall’inizio sceglie di allontanarsi. L’orizzonte narrativo nei suoi tratti essenziali è già delineato...

"Otto-Novecento", anno 2007, N°. 3, Settembre/Dicembre. Qui la versione integrale



Pubblicato il 09/02/2010
 
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