Liberatosi dall’amletico dilemma: «guardare o non guardare Lost, 24, CSI, e quant’altro?»,
Simone Regazzoni
, già coautore sotto lo pseudonimo collettivo di Blitris della Filosofia del Dr. House, ci offre un viaggio filosofico attraverso la narrazione epica di Lost, un agile saggio sul ruolo della filosofia nei confronti del noto serial tv americano. Questo libro è una narrazione “transmediale” intorno a un programma che, alla pari dei Sopranos o Six feet under, sta completamente ridisegnando con la forza del video il “grande romanzo americano” e l’immaginario popolare dei telespettatori. «Lost - scrive Regazzoni – mette in scena l’enigma della verità». Ti sprona a pensare a un’altra idea di verità al di là di ciò che è semplicemente esatto, giusto, adeguato. Ecco quel che sconcerta e affascina, al contempo, in questo programma. Bisogna imparare a scoprire e pensare un’altra idea di verità che, nel suo mostrarsi, lascia sempre un fondo di mistero e nascondimento. È questa la prova a cui l’Isola sottopone protagonisti e telespettatori. Ma per superare questa prova devi imparare a errare, a perderti nel cuore della foresta, come sanno bene Jack, John, Kate, Hurley, Sayid, Sawyer, e come sapeva bene Heidegger, che intitolò una sua raccolta di saggi Sentieri erranti nella selva.
La trama del telefilm è quella di un gruppo di naufraghi, sopravvisuti al volo Oceanic 815, sull’Isola deserta, che vanno alla scoperta delle insidie e di ciò che si cela nel cuore della foresta, o che rimangono in attesa di un aiuto che potrebbe arrivare, forse, dal mare. Gli autori hanno scritto una fiction, ma gli spettatori l’hanno resa realtà: per le dinamiche che si sviluppano nel plot narrativo sembra infatti un reality show, ma evidenti sono le tracce filosofiche. Ad esempio, i personaggi hanno i nomi di famosi pensatori, dal cacciatore (di verità?) John Locke che va in missione fuori dell’isola come Jeremy Bentham, alla scienziata Danielle Rousseau, al monaco-soldato Desmond David Hume. Lost inoltre rappresenta l’apoteosi del relativismo, perché mette in discussione l’esistenza stessa del mondo esterno: sull’Isola esiste solo la percezione relativa, non ci sono verità assolute. Ci sono solo domande e nessuna risposta. E trovare la verità, per i losties, si tramuta quasi sempre in una “tortura”: sarà un cammino difficile da intraprendere tra segnali, immagini, tracce perigliose, false piste, dentro e fuori il piccolo schermo.
Un luogo tra la vita e la morte, tra fiction e realtà. Questo è Lost. Ciò che si trova alle radici stesse del domandare. Perché l'Isola non da risposte, non possiede la verità. Piuttosto, ne incarna l'enigma. E lo fa con una narrazione al contempo complessa e popolare, sfruttando i canali aperti dalla transmedialità, dilatando all'infinito l'orizzonte della partecipazione. La serie tv creata da J.J. Abrams e Damon Lindelof è a tal punto legata alla filosofia che alla filosofia non restano che due scelte. Spiare da dietro il buco della serratura il dispiegarsi di quello che è, a tutti gli effetti, un mondo. Oppure accantonare ogni falso pudore, ed esplorare l'Isola. Simone Ragazzoni sceglie questa seconda via, e s'imbarca a bordo del volo 815 col preciso intento di precipitare insieme a Jack, John, Kate, Hurley, Sayid, Sawyer. E a tutti i fan della serie. Accampato sulla spiaggia o perso nella foresta, l'autore de "La filosofia di Lost" apre botole, progetta mappe, sfida mostri e ridicolizza pregiudizi. Naufrago tra i naufraghi, decide di far abitare al discorso filosofico lo spazio dell'erranza. Qualcuno, certo, storcerà il naso. Ci vuole tempo per sentirsi perduti. L'Isola ce l'ha. La filosofìa anche. E tu?
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